A.S.F.D.
C.F.S.
San Giovanni Gualberto
Riserve Naturali
Raduno Nazionale
Auguri
Giubileo 2000
Iniziative Culturali
la storia Come Iscriversi Notiziario Forestale e Montano Statuto Comunicati Rassegna Stampa Contatti
 
 

Lex Luci Spoletina

La lex luci Spoletina è la legge che vietava il taglio di alberi nei boschi sacri del territorio spoletino.
E’ la prima legge romana, documentata, che regolamentava l’utilizzo di aree boscate e pertanto può considerarsi la prima legge forestale.
Per gli etruschi e per i latini la sacralità delle campagne , dei boschi, delle spelonche e dei monti veniva comunemente sancita dalla credenza che in quei luoghi abitassero dei o dee particolari cioè con particolari caratteristiche che andavano a definire delle specifiche capacità di protezione verso i luoghi o le persone che frequentassero i luoghi stessi.
Il riconoscimento di sacralità di un luogo da parte di una comunità antica era collegato alla percezione della importanza che rivestiva oppure avrebbe rivestito quel luogo per la collettività.
Nel mondo romano il lucus era un bosco a cui veniva attribuito un carattere sacro.
Con la consacrazione veniva affermata la necessità di custodire determinate aree dal disboscamento indiscriminato e mantenere l’equilibrio del territorio e quindi veniva tutelato per mezzo di leggi che avrebbero impedito la profanazione e la manomissione.
Luoghi di tal genere, nel mondo etrusco e romano, ve ne furono moltissimi.
Nel Lazio se ne conoscono alcuni ma il loro numero dovrebbe essere molto superiore anche perché, probabilmente, ogni singola comunità individuava, nei pressi dell’insediamento, un luogo o più propriamente un bosco ove normalmente potevano essere compiuti, ciclicamente, riti propiziatori.
In un bosco, la parte riconosciuta sacra poteva essere anche di ridotte dimensioni ed anche una radura con pochi alberi era sufficiente a dar luogo ad un “ lucus”.

 

Nell’antichità, il bosco aveva diverse denominazioni a secondo delle destinazioni d’uso :
ν Nemus quando il soprassuolo era formato da una ” composita multitudo arborum “ ;
ν Silva quando il soprassuolo era formato da vegetazione “ diffusa et inculta”
ν Lucus quando il soprassuolo era formato da “arborum multiduto cum religione “ ;
ν Fanum cosi veniva indicata “ una radura in mezzo al bosco “.
Il Lucus è un bosco al quale è stato riconosciuto e sancito il carattere sacro in quanto ritenuto dimora di una o più divinità che, in quel luogo, manifestavano segni o prodigi e che aveva, inoltre, la caratteristica di non essere stato mai coltivato ed al quale potevano essere apposti molteplici vincoli.
Nell’antichità era riscontrabile una ulteriore suddivisione distintiva del Lucus in quanto, in alcuni casi, con la parola “ Lucus” veniva indicata una radura, nel bosco ed una certa porzione di vegetazione arborea ed arbustiva che circondava il “ Fanum” cioè il Lucus era una porzione di Nemus con una specifica destinazione sacra e non soltanto un bosco con destinazione sacra.
Il bosco o la porzione di esso poteva essere delimitato, parzialmente, da cippi di materiale calcareo oppure delimitati completamente ,in questo caso, i cippi, erano posti agli ingressi principali del Lucus. Su i cippi venivano scolpite invocazioni, preghiere, divieti e consequenziali sanzioni a cui si incorreva allorquando non veniva rispettata la sacralità del luogo.
La presenza di boschi sacri nel territorio etrusco della costituenda colonia di Spoleto, fondata nel 241 a.c., è provata dal ritrovamento, in tempi e luoghi diversi, di due esemplari di cippi calcarei epigrafici denominati Lex Luci Spoletina e che si possono definire una delle più importanti ed antiche testimonianze concernenti luoghi sacri, Luci, nel mondo romano
Il fatto che il bosco venga dedicato a Giove (1), che diventa così il nume tutelare di Spoleto, contestualmente alla fondazione della colonia, rientra nel progetto generale di pianificazione del territorio messo in atto dalla repubblica romana ed alla necessità di procedere alla regolamentazione della vita religiosa in analogia a quella della madre patria.

Il ritrovamento ha permesso di studiare il latino arcaico ed il diritto romano relativo al III secolo a.c.; studi di notevole rilevanza sia per la storia della evoluzione della lingua latina in generale ed del latino giuridico in particolare.
La stele è databile al III secolo a.c. è in materiale calcareo, detto localmente colombino; ha forma quadrata e le dimensioni sono 0.57 X 0.54 X 0.24; il testo si sviluppa su entrambe le facce principale e, per quanto concerne la parte finale di alcune righe prosegue anche sulle facce laterali adiacenti anziché nella riga successiva; le lacune sono minime e facilmente integrabili.
Le singole lettere sono ben incolonnate nel margine sinistro e tendono a non conservare un perfetto allineamento con le righe successive.
Il reperto è stato studiato approfonditamente per rilevare gli aspetti linguistici ed istituzionali confrontandolo con altre iscrizioni sacre del periodo ellenico ed italico.

Sul fronte e lato destro ( Aa) si legge : Sul retro e sul lato sinistro ( Ab) si legge:
1 Honce loucom 11 violasit, Iove bo//id
2 nequ(i)s violatod, 12 piaclum datod;
3 neque exvehito, neq//ue 13 seiquis scies
4 exferto quod louc//i 14 violasit dolo mal//o,
5 siet, neque cedito 15 Iovei bovid piaclu//m
6 nesei quo die res de//ina 16 datod et a(es) CCC
8 quod rei dinai cau//(s)a 18 eius piacli
9 fiat, sine dolo ced//re 19 moltaique dicator//ei
10 (l)icetod. Sequis 20 exactio est (od).

// quando la parola prosegue nel lato stretto

 

Nell’insieme il testo, ancorchè in latino arcaico, non è di difficile interpretazione.
“ Questo bosco nessuno profani, né asporti su carro od a braccia ciò che al bosco appartenga, né lo tagli, se nel giorno in cui avverrà l’annuale sacrificio; quel giorno, in quanto si faccia a causa del sacrificio sarà lecito tagliarlo senza frode. Se uno lo profanerà, a Giove farà espiazione con un bue; se uno lo profanerà consapevolmente con mala intenzione, a Giove farà espiazione con un bue e 300 assi saranno di multa. Di quella espiazione e della multa al magistrato spetterà l’esazione”.
In quanto bosco riconosciuto sacro, il Lucus era soggetto ad un regime particolare.
Molti degli atti che sarebbero perfettamente leciti in un Nemus od in una Silva non lo sono se rapportati ad un Lucus cioè ad un bosco od ad una sua parte la cui destinazione è esclusivamente religiosa.
E’ da questa natura religiosa che discende tutta una serie di norme, anche molto minuziose, la cui violazione costituisce profanazione e che deve essere espiata con sacrifici pacificatori ( Piaclum ) preventivi o a posteriori ed a cui si possono aggiungere delle multe.
Il sacrificio è necessario per pacificare il rapporto tra il violatore della norma e la divinità a cui è consacrato il Lucus.
La Lex, nel mondo romano, è “ qualsiasi condizione obbligante o norma, sia nel diritto pubblico che nel diritto privato come nella religione, che abbia riferimento non solo a persone ma anche a cose sia concrete che astratte”.
Nella stele vi sono indicate una serie di norme vincolanti finalizzate all’uso ed alla conservazione dei luoghi tutte riconducibili nell’ambito delle “ leges” di diritto pubblico che il Magistrato aveva la potestà di stabilire unilateralmente (dicere) su argomenti definiti e limitati.
La prescrizione inizia con una espressione generica di divieto di profanazione mediante l’imperativo futuro ( honce ) che poi si articola in una serie di divieti più circostanziati.

 

La catena delle proibizioni, introdotta da nequis, prosegue in uno sviluppo crescente attraverso una struttura caratteristica della prosa latina tenuta insieme dalla triplice neque.
La prescrizione prevede una unica deroga che deve comunque ricevere una particolare autorizzazione.
La Lex Spoletina si articola, sostanzialmente in tre punti :
ν Ciò che vi si può fare o che vi si può fare soltanto in determinate circostanze ;
ν I sacrifici pacificatori e le ammende in caso di trasgressione;
ν L’organo competente a sorvegliare sull’attuazione di quanto legiferato.
Nel primo punto viene definito che “ nulla di ciò che costituisce il bosco sacro, nemmeno le frasche, i rami secchi, tronchi caduti, possono essere portati via.
Viene, cioè, espresso un generico divieto di profanazione che si articola in una sequenza di divieti più circostanziati : “ non portare via con carri od a mano ciò che sia di pertinenza del bosco”, questa differenziazione implica una diversa quantità e qualità di materiali asportati.
Con il secondo punto si prevede una unica deroga, il taglio del bosco, nel caso che questo venga effettuato in funzione del sacrificio cioè in occasione dell’annuale rito in onore del dio a cui il bosco è consacrato.
Nel caso specifico il bosco è consacrato a Giove ed a lui dovranno essere fatte le offerte di sacrificio utilizzando prodotti del bosco derivanti anche dal taglio ma senza effettuare l’asporto.
Alla serie di divieti consegue la comminazione della pena per colui o coloro che non abbiano tenuto il dovuto rispetto per il luogo.
Il terzo punto distingue tra chi semplicemente viola le norme relative all’asportazione del legname ed al taglio degli alberi e che viola la norme scies dolo malo
I divieti e le pene sono distinte a seconda che il comportamento del trasgressore sia stato determinato da negligenza oppure da una semplice inosservanza della legge ma non da volontà di nuocere ovvero che il danno sia stato provocato da una deliberata intenzione di aggirare la legge con la frode.

Le due ipotesi che danno corpo alle due situazioni risultano sia distaccati che unificati e conseguentemente sono propedeutici alla individuazione della vittima sacrificale, al tipo di sacrificio ed alla ingiunzione della offerta.
Nella prima ipotesi si viene così ad avere un sacrificio pacificatore di espiazione ( Piaculum) e riparazione della profanazione.
Nella seconda ipotesi, cioè nel caso di trasgressione che poi viene ad essere una profanazione, questa viene considerata avente maggiore gravità in quanto esprime consapevolezza ed implicita intenzione di recare danno nel compimento dell’azione incriminata e pertanto vengono comminate due pene la prima consiste nell’offerta di un bue a Giove e la seconda , consiste nel pagare una ammenda ( multa ) del valore di trecento( 300) assi.
Sono stati effettuati delle ricerche e degli studi per definire il corrispettivo del valore della multa di trecento assi; a puro titolo orientativo in base alla Lex Aternia Tarpeia del 454 a.c. il valore di un bue può eguagliarsi a cento assi ; tale stima si rileva del tutto illusoria se rapportata all’età della iscrizione della Lex Spoletina che è posteriore di quasi due secoli e mezzo.
La datazione della Lex spoletina è stata fissata , attraverso una serie di elementi probatori quali i fattori linguistici che compaiono sulla stele e che tendono a collocare il cippo in un arco temporale che va dal 241 a.c. anno in cui Spoleto divenne colonia romana al primo decennio del II sec. a.c.
Da antiche fonti è possibile rilevare che vi è stata una progressiva svalutazione dell’asse : -- durante la prima guerra punica si ridusse ad un sesto del suo peso-valore originario e perdette un ulteriore 50% nel 217 a. c. all’inizio della seconda guerra punica.
Si può considerare che il valore di un bue sia rimasto abbastanza costante nel tempo mentre il valore della moneta ( asse — aes grave ) (2) abbia avuto un notevole ridimensionamento.
La determinazione, in cento assi (aes ), della multa/ammenda rileva l’importanza che veniva data alla trasgressione in cui si poteva intravedere la consapevolezza di arrecare il danno e l’intenzione di effettuare una azione finalizzata ad arrecare un danno ad un Lucum ovvero ad un luogo religioso e conseguentemente effettuare una profanazione che avrebbe comportato una reazione da parte della divinità risiedente in loco.

Il testo si conclude con l’individuazione di colui che materialmente avesse l’incarico di verificare la piena esecuzione della pena, nel caso in specie l’incarico era stato assegnato al dicator cioè al magistrato con incarico religioso deputato al controllo dell’offerta sacrificale ( piacula ) ed alla riscossione dell’ammenda.
Tra le ipotesi ritenute più probabili è quella di riferirsi al magistrato locale che consacro il Lucus a Giove e che sarebbe divenuto , a titolo permanente, anche il custode. Si può anche supporre che chiunque avesse rivestito la carica sarebbe stato investito del’incarico di custode .
Questa stele riveste una importanza rilevante anche da un punto di vista forestale e più precisamente di legislazione forestale in quanto nelle disposizioni è possibile riconoscere i principi stessi di tutela e conservazione dei boschi propria di una legislazione moderna sia in campo penale che in campo amministrativo.
La lex spoletina si può definire una legge forestale ante litteram emanata per salvaguardare un luogo con caratteristiche particolari a cui la società assegna un rilevante valore .
Come in una normale legge forestale sono evidenziati i divieti e le relative sanzioni sia di carattere penale cioè il sacrificio di un bue con finalità pacificatorie ( piacula ) nei confronti del dio o dell’ente superiore che ha emanato la legge sia di carattere amministrativo cioè la multa di 300 assi per aver manomesso i luoghi senza dolo.
La lex spoletina presenta una linearità nella presentazione delle azioni che si possono e che si devono fare a fronte di una casistica di infrazioni che potrebbero arrecare una reazione negativa da parte del dio a cui è stato dedicato il lucus; contemporaneamente prevede sia una offerta che si può assimilare ad una multa ed una ammenda che si può assimilare ad una sanzione amministrativa.

 

 

(1) Il Giove etrusco è il dio dei termini di confine dei campi, dei quali garantisce l’inviolabilità
(2) Nel IV sec. a.c. era in vigore un tipo di moneta denominata Aes Signatum ( bronzo segnato ) che era un elemento in bronzo che riportava, solo su un lato, un segno particolare cioè una marcatura che poteva essere una punta di lancia oppure un ramo, un pesce un elefante. Tale moneta era ottenuta per fusione ed aveva di solito una forma rettangolare.
Alla fine del IV sec. a. c. l ’Aes Signatum fu sostituito con l’Aes Grave (bronzo pesante ) sempre realizzato in una lega di bronzo ma di forma circolare con vari disegni e/o figure in principio solo su di un lato in seguito su entrambi i lati e che spesso riportava anche l’indicazione dell’autorità emittente. Tale moneta si può considerare la prima vera e propria moneta messa in circolazione dalla fondazione di Roma.
La tecnica di produzione delle monete passò dalla fusione, cioè attraverso il versamento del metallo fuso in un apposito stampo, al conio cioè il sistema di realizzazione di un pezzo di metallo, sempre di forma circolare, al quale veniva impresso, attraverso una battitura , inizialmente su di un lato in seguito su ambo i lati, segni e/o figure o immagini.

 

 

 

 

 

B I B L I O G R F I A
1 Nando Nanni . Le antichissime tavole spoletine --- Notiziario Forestale e Montano.
2 Giovanni Pascucci . La lex sacra di Spoleto.
3 Silvio Pancera . La lex luci spoletina e la legislazione sui boschi sacri in età romana. – Atti dell’incontro di studio – Spoleto 1993. Cento italiano studi alto medioevo.
4 Franco Cardini. Boschi sacri e monti sacri. Atti dell’incontro di studio. Spoleto 1993 . Centro italiano studi alto medioevo.
5 Valentino Gunnella . Le monete della zecca di Amatrice e di Cittaducale. – Quaderni di studi storico-numismatici.
6 Marianna Rosati. Essere Etrusco—Storia , memoria, cultura. Ed.Futura

 

(1) Codice veneziano - Ordinanza del 28-11-1601- Libreria di Stato - Roma.
(2) Da Gastaldi o Duchi.